Nuovi stili di vita per abitare le distanze nelle famiglie: accompagnare, discernere e integrare la fragilità” (cap. 8 esortazione apostolica amoris laetitia)
“….la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta”. Il cammino da compiere è riassunto in tre verbi: accompagnare, discernere e integrare.” (Amoris laetitia, esortazione apostolica di Papa Francesco)
Prima di affrontare il tema che Papa Francesco tratta nel capitolo 8 della Esortazione Apostolica Amoris laetitia, il prof. Don Salvatore Purcaro fa una importante premessa.
Se la Bibbia si concepisce come un manuale di morale, allora diventa una “clava” che viene posta sulla testa delle persone. La Bibbia, infatti, usata come prontuario dell’azione morale, ci fa trovare in difficoltà quando bisogna affrontare alcuni temi specifici: ad esempio, se vogliamo capire cosa è il matrimonio e andiamo a leggere la Scrittura, troviamo che l’insegnamento di Gesù, al riguardo, è molto limitato perché in realtà ci dice dell’inizio della vita familiare: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà alla sua donna e i due diventeranno una carne sola”. Quando, invece, ci riferiamo a questioni specifiche relative al matrimonio, allora è bene riflettere perché, per esempio, della separazione Gesù ne parla esclusivamente in termini di potere maschile: “L’uomo che ripudia una donna, la espone all’adulterio”. Gesù, nella logica della incarnazione, non avrebbe mai potuto dire qualcosa che non fosse contestualizzata nel suo tempo. E, allora, bisogna riconciliarsi con un uso corretto della Sacra Scrittura.
Le grandi critiche che vengono oggi mosse verso il capitolo otto di Amoris laetitia, spesso muovono da un uso della Scrittura come arma contro il Papa che, secondo tali critiche, andrebbe contro gli insegnamenti della Bibbia. Della Scrittura non va fatto un uso strumentale per le proprie teorie, come facevano i farisei. Ecco, dunque, che bisogna partire da alcuni presupposti: tutti i grandi concetti espressi nella Bibbia sono incastonati in una relazione. Ad esempio, Gesù, quando offre un insegnamento, non lo dà mai in forma di monologo ma partendo sempre da una situazione specifica (esempio, l’incontro con il cieco diventa l’occasione per un discorso sulla fede; l’incontro con un lebbroso diventa l’occasione per un discorso sulla gratuità e il ringraziamento). La Bibbia, dunque, è in se stessa un annuncio di salvezza nel cuore di una relazione.
Leggiamo il brano degli Atti degli Apostoli 8,26-40
“Un angelo del Signore parlò intanto a Filippo: «Alzati, e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etiope, un eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi tesori, venuto per il culto a Gerusalemme, se ne ritornava, seduto sul suo carro da viaggio, leggendo il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti, e raggiungi quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: «Come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, ma la sua posterità chi potrà mai descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita». E rivoltosi a Filippo l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Allora Filippo prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù. Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c’era acqua e l’eunuco disse: «Ecco qui c’è acqua: che cosa mi impedisce di essere battezzato?». Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’Eunuco, ed egli lo battezzò. Quando furono usciti dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino. Quanto a Filippo, si trovò ad Azoto e, proseguendo, predicava il vangelo a tutte le città, finché giunse a Cesarea“.
Due i personaggi fondamentali del brano: Filippo e l’eunuco. Filippo non capisce da solo ma in una relazione con il Signore, una relazione che diventa fondativa di ciò che deve fare, cioè della missione che gli viene affidata. D’altra parte, anche la Chiesa muove la sua attività a partire da un annuncio dello Spirito. È lo Spirito che muove Filippo, è lo Spirito che porta avanti la Chiesa.
Filippo, viene spinto dallo Spirito a lasciare il luogo in cui si trovava e ad andare verso mezzogiorno per la strada che passava nel deserto. Gli Atti degli Apostoli sono un codice simbolico. Mezzogiorno rappresenta il pieno della luce ma “passa per la strada del deserto”: ogni cammino di crescita, ogni percorso di discernimento, ogni strada verso il mezzogiorno, passa per un tempo di precarietà, di comprensione, di difficoltà e, anche, di critica. Chi porterà il carro verso mezzogiorno? Chi si sarà lasciato guidare dalla voce dello Spirito. E Filippo accetta la sfida di entrare in questo deserto. Deve però cambiare mentalità, modo di concepirsi, deve accettare l’incomprensione, deve accettare la critica. E solo se riuscirà a passare attraverso questo deserto, riuscirà ad arrivare verso il mezzogiorno, che è la meta.
Cosa accade a Filippo? Filippo incontra un eunuco, un irregolare (il termine che usa Amoris laetitia), detto così perché è, innanzitutto, un eunuco, cioè un castrato (il quale può essere reso così dagli uomini, oppure nati tali, o per scelta). Questo eunuco, inoltre, è un pagano, non è ebreo di origine. Il testo ci dice che è andato a Gerusalemme per il culto. Ora, è eunuco, è uno di cui molti si sono serviti (custode dell’harem), affronta un viaggio dall’Etiopia fino a Gerusalemme, è pagano. Possiamo ipotizzare, dunque, che non si sarà sentito molto integrato (ebrei si nasce non si diventa, non si è discendente di Abramo, non si porta il segno della circoncisione, pertanto al culto si poteva partecipare come spettatore).
Non sentendosi parte integrante degli ebrei, lui certamente non se ne va soddisfatto e se ne ritorna leggendo il profeta Isaia, in particolare uno dei Carmi del Servo Sofferente: “Come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, ma la sua posterità chi potrà mai descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita”.
Leggendo questo passo della Parola di Dio, quest’uomo sta come cercando una consolazione, perché lui sente di essere umiliato, sente di essergli stata recisa una possibilità sulla terra, sente che non avrà una discendenza. Il contatto con la Parola di Dio dà a quest’uomo nutrimento, pace, serenità.
A questo punto, arriva l’incontro con Filippo, il quale gli si avvicina con una domanda: il metodo di fingersi tonto (il dubbio Socratico). Quel modo di presentarsi di chi si mette al livello dell’altro, per cui si incoraggia l’altro a non sentirsi inferiore. Tu hai questa parola, capisci ciò che stai leggendo? E l’altro risponde: come potrei se nessuno mi guida? Se nessuno mi fa “entrare” (la traduzione in greco è questa) in questo testo? E così lo invitò a salire sul carro.
Filippo non interviene per dirgli che stava sbagliando o che stava facendo bene… non mostra alcuna preoccupazione di dirgli qualcosa. L’eunuco lo fa, dunque, “entrare” nel suo carro, cioè nella sua situazione, in quel carro che sta vivendo, cioè dolore, preoccupazione, umiliazione, ma anche speranza, perché la prima domanda che gli pone è una domanda di speranza. Gli chiede se il profeta sta parlando di se stesso o di un altro. Sta cioè dicendo qualcosa anche a me, alla mia vita? Il profeta è come me? Anche io posso essere come lui? Filippo, allora, partendo da quel passo, non espone una idea o un ragionamento già pronti, ma gli annuncia Gesù. Non fa del cristianesimo una ideologia, una filosofia, ma una Persona.
Prima ancora di un ragionamento, di una riflessione, deve avvenire un incontro con una persona.
E continuano a camminare. Filippo era un discepolo di seconda generazione di Gesù e aspetta che questa persona gli faccia una seconda domanda: che cosa mi impedisce di essere battezzato? L’aspetto importante non è il battesimo – che a quel tempo era una pratica frequente – ma che entrambi ricevono un nuovo modo di accogliere chi non appartiene alla comunità.
E poi scompare: Filippo fu rapito. L’eunuco continua il suo cammino.
Alla luce di questo brano, leggiamo alcuni paragrafi del capitolo 8 di Amoris laetitia.
Il Papa ragiona così: innanzitutto, afferma che bisogna accompagnare, discernere e integrare la fragilità. Ogni parola ha il suo perché:
- Accompagnare, cioè farsi compagno. Non dice “insegnare” ma “accompagnare”. Il vero compagno condivide con l’altro.
- Discernere, cioè bisogna accompagnare una persona, saper valutare per poi integrare.
- Integrare. Al riguardo il Papa usa una espressione molto significativa e interessante: “Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita”. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!” Il Papa sta parlando di una logica dell’integrazione che deve diventare uno stile ecclesiale, prima ancora che un metodo per i divorziati risposati.
Allora, la strada da percorrere è quella del deserto, che significa la strada del discernimento e dell’integrare. Perché deserto? Perché significa lasciare ogni concetto ideologico, ogni idea precostituita e accostare l’altro nella verità di ciò che sta vivendo. Non sappiamo dove ci porterà, ma io devo innanzitutto incontrare questa persona.
In questo discorso, la parola fondamentale – che dà anche il titolo al capitolo – è fragilità. Fragilità non significa qualcosa di rotto o irrecuperabile, fragilità è qualcosa che è a rischio. Fragile è chi sta vivendo una situazione pericolosa e rischia di rompersi. E, allora, la cura è di custodire la persona affinché non si rompa, non si allontani, non perda la sua identità. Qui Papa Francesco è in continuità con quanto aveva affermato, al n. 30 della Esortazione Apostolica Postsinodale Sacramentum Caritatis, Papa Benedetto XVI, quando afferma “ogni uomo per poter camminare nella direzione giusta ha bisogno di essere orientato verso il traguardo finale”.
L’espressione “irregolari” è sicuramente brutta ma efficace, perché l’alternativa che alcuni vescovi volevano usare era quella di “scomunicati”, che sostituiva quella di “adulteri”. Pertanto, il termine “irregolari” rappresenta una fase transitoria, in quanto non si riferisce ad una situazione di lontananza o di esclusione, ma di non essere completamente a posto con la regola. Invece, lo scomunicato implica l’esclusione dalla Chiesa. Quindi, l’irregolare, cioè il divorziato risposato, non è completamente fuori dalla comunione ecclesiale. La comunione ecclesiale è un qualcosa di molto serio e ritenere qualcuno fuori della comunione ecclesiale, è altamente pericoloso. Quindi, sebbene non ci piaccia l’espressione “irregolare” essa è migliore di altre espressioni che connotano i divorziati risposati: non sono fratelli separati, ma sono dentro la comunione ecclesiale, per cui vanno considerati parte integrante della fraternità Ofs, laddove si presentasse una situazione simile.
A questo punto, vediamo quali sono i percorsi che il Papa ci suggerisce di percorrere: una persona separata e divorziata può fare tranquillamente la comunione. Bisogna distinguere tra il coniuge “colpevole” e il coniuge “innocente”. A partire dalla Enciclica Familiaris Consortio, il Papa insiste molto tra queste due tipologie di coniugi. Oggi aumentano i separati in casa perché è più economico. Quindi, il vero problema non è il divorzio. Il problema molto sentito è invece quello delle seconde nozze civili, cioè il fatto che un matrimonio sacramento, resta valido ma, di fatto, uno dei coniugi lascia l’altro e poi inizia una relazione con un’altra persona, per cui è una unione che non ha valore sul piano sacramentale.
Dobbiamo ricordare che il sacramento del matrimonio è costituito da una dimensione che non è visibile, quale l’alleanza di Dio, e una dimensione visibile che è l’amore tra gli sposi. La gente, solo guardando gli sposi e come si amano, riescono a vedere l’amore di Dio. Allora, il matrimonio va al di là di un vincolo giuridico. L’indissolubilità del matrimonio non è una convenzione umana. Il matrimonio, quindi, non si annulla.
Solo la Chiesa può dichiarare che un matrimonio è stato nullo, che non c’è stato un sacramento, perché mancante di quegli elementi costitutivi del sacramento matrimoniale, quali la libertà, l’apertura alla vita, l’indissolubilità.
Il Papa, relativamente alla nullità del matrimonio, fa una considerazione pastorale molto efficace: quando un matrimonio finisce è molto probabile che non sia mai iniziato. In molti casi di divorzio, infatti, già all’inizio erano presenti e visibili elementi secondo i quali non poteva nascere un matrimonio, non poteva essere un sacramento. La prima tappa di questo percorso di accompagnamento, dunque, è la verifica se quello è un matrimonio vero. I casi di nullità di un matrimonio sacramento sono tantissimi.
Il problema, allora, è a monte: come preparare le persone al matrimonio? Come nasce un matrimonio? Un matrimonio riparatore, per esempio, non deve proprio nascere. Bisogna portare i giovani al matrimonio con motivazioni di fede. Non basta la dimensione orizzontale (ci vogliamo bene), per questa va bene il matrimonio civile. Il presupposto di un matrimonio sacramento, è una fede ben più grande, che è quasi simile a un martirio, perché l’uno fa dono totale all’altro della propria vita.
Un altro aspetto da considerare è quello relativo ai divorziati che si risposano. Il Papa dice che “in alcuni casi i sacramenti possono aiutare il cammino verso una piena integrazione”, per cui l’Eucarestia può diventare un aiuto. Tuttavia, se ci si trova di fronte ad una coppia che ha divorziato, i coniugi scelgono di convivere con un’altra persona, magari chiedono il battesimo per il bambino nato dalla loro nuova unione e la comunione per un altro figlio, allora in questo caso la coppia nuova non fa comunione con la chiesa. Il cammino è una esperienza seria. Il cammino di accompagnamento, dunque, deve produrre desiderio di ciò che il sacramento è, non di ciò che ognuno pensa del sacramento oppure ciò che ognuno ha potuto capire.
Allora, i sacerdoti, la fraternità, devono prendere sul serio la disponibilità del cammino con lo Spirito. A questo punto, il sacerdote che concede la comunione al divorziato, non lo fa per una iniziativa personale, una concessione sua, ma è in riferimento ai criteri di un percorso di fede.
Certo, la responsabilità del sacerdote è grande rispetto a tali situazioni da discernere. Ma ciò che suscita perplessità è se le nostre comunità sono realmente preparate per affrontare le differenze di situazioni tra persona e persona. Molte volte, infatti, nelle nostre parrocchie, la differenza tra i casi la si giudica come discriminazione. Giustizia non è trattare tutti allo stesso modo, cioè tutto per tutti o niente per nessuno. Giustizia è discernere e integrare uno nell’immediato, un altro un po’ più in là. Il criterio è il cammino. Ecco perché il Papa ha scritto che non tutti i divorziati possono avere la comunione.